GUERRA IN AFGHANISTAN

Guerra in Afghanistan
La guerra in Afghanistan ha preso inizio il 7 ottobre 2001, con l'invasione di terra del territorio sotto controllo talebano, da parte dei gruppi afghani loro ostili dell'Alleanza del Nord, mentre gli USA e la NATO hanno fornito, nella fase iniziale, supporto tattico, aereo e logistico. Nella seconda fase, dopo la conquista di Kabul, le truppe occidentali (statunitensi e britannici in testa) hanno aumentato la loro presenza anche a livello territoriale (Operazione Enduring Freedom).

L'amministrazione Bush ha giustificato l'invasione dell'Afghanistan, nell'ambito del discorso sulla guerra al terrorismo seguito agli attentati dell'11 settembre 2001, con lo scopo di distruggere al-Qāʿida e catturare o uccidere Osama bin Laden, negando all'organizzazione terroristica la possibilità di circolare liberamente all'interno dell'Afghanistan attraverso il rovesciamento del regime talebano. A dieci anni dall'invasione, il 2 maggio 2011, data e ora del Pakistan, le forze statunitensi hanno condotto un'azione ad Abbottabad, vicino ad Islamabad, presso il rifugio del leader di al-Qāʿida, individuato grazie ad un'operazione di intelligence condotta fin dall'agosto dell'anno precedente. Nella notte del 1º maggio 2011, secondo il fuso orario statunitense, il Presidente degli Stati Uniti d'America Obama ne ha annunciato la morte. L'azione militare è stata condotta da truppe di terra con l'ausilio di soldati e intelligence pakistani. Nell'azione sarebbero morti altri membri della sua famiglia. A partire dall'invasione dell'Iraq (2003), la guerra dell'Afghanistan ha perso piorità tra gli obiettivi dell'amministrazione americana, riacquisendola solo a partire dal surge militare del 2009.

Prima dell'invasione
A partire dal maggio 1996, Osama bin Laden e altri membri di al-Qāʿida si sono stabiliti in Afghanistan e hanno stretto rapporti di dialogo e collaborazione con il regime talebano del paese, all'interno del quale sono stati creati diversi campi di addestramento terroristici. In seguito agli attentati alle ambasciate statunitensi in Africa del 1998, gli USA lanciarono da alcuni sottomarini un attacco missilistico diretto a questi campi di addestramento. Gli effetti di tale rappresaglia furono limitati.

Nel 1999 e nel 2000 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò due risoluzioni che stabilivano sanzioni economiche e di armamenti all'Afghanistan per incoraggiare i Talebani a chiudere i campi di addestramento e a consegnare bin Laden alle autorità internazionali per rispondere degli attentati del 1998.

L'11 settembre 2001
L'attacco terroristico al World Trade Center dell'11 settembre 2001 sancì un inasprimento dei rapporti fra Stati Uniti e governo talebano. Nonostante inizialmente Osama Bin Laden avesse negato qualsiasi coinvolgimento, la "tesi fondamentalista" non fu mai messa in discussione, venne fatta propria dalla stampa ed avvalorata con successivi rapporti in sede di commissione congressuale.

Nel 2004, poco prima delle elezioni presidenziali, i canali Occidentali trasmisero un filmato nel quale Osama bin Laden dichiarava che al-Qāʿida fu direttamente coinvolta negli attacchi .Il 21 maggio 2006 venne trovato un messaggio audio pubblicato in un sito internet (che il governo statunitense giudica spesso usato da al-Qāʿida), in cui bin Laden ammetteva di aver personalmente addestrato i 19 terroristi dell'11 settembre

Il 21 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush lanciò un ultimatum ai Talebani, in cui fece le seguenti richieste:

• consegnare tutti i leader di al-Qāʿida in Afghanistan agli Stati Uniti;
• liberare tutti i prigionieri di nazioni straniere, inclusi i cittadini statunitensi;
• proteggere i giornalisti stranieri, i diplomatici e i volontari presenti in Afghanistan;
• chiudere i campi d'addestramento terroristici in Afghanistan e consegnare ciascun terrorista alle autorità competenti;
• garantire libero accesso agli Stati Uniti ai campi d'addestramento per poter verificare la loro chiusura.

I Talebani non risposero direttamente a Bush, ritenendo che iniziare un dialogo con un leader politico non musulmano sarebbe stato un insulto per l'Islam. Dunque, per mediazione della loro ambasciata in Pakistan, dichiararono di rifiutare l'ultimatum in quanto non vi era alcuna prova che legasse bin Laden agli attentati dell'11 settembre.

Il 22 settembre gli Emirati Arabi Uniti e l'Arabia Saudita decisero di non riconoscere il governo Talebano in Afghanistan. Solo il Pakistan continuava a mantenere contatti diplomatici col paese.

Sembra che il 4 ottobre i Talebani proposero in segreto al Pakistan la consegna di bin Laden, e ne chiesero il processo in un tribunale internazionale sottoposto alle leggi della Sharia. Si suppone che il Pakistan rifiutò l'offerta. Verso metà ottobre, alcuni membri moderati del regime talebano incontrarono gli ambasciatori statunitensi in Pakistan per trovare un modo di convincere il Mullah Omar a consegnare bin Laden agli Stati Uniti. Bush bollò le offerte dei Talebani come "false" e le rifiutò. Il 7 ottobre, poco prima dell'inizio dell'invasione, i Talebani si dichiararono pubblicamente disposti a processare bin Laden in Afghanistan attraverso un tribunale islamico. Gli USA rifiutarono anche questa offerta giudicandola insufficiente.

Solo il 14 ottobre, una settimana dopo lo scoppio della guerra, i Talebani acconsentirono a consegnare bin Laden a un paese terzo per un processo, ma solo se fossero state fornite prove del coinvolgimento di bin Laden nell'11 settembre.

L'atteggiamento della dirigenza statunitense di fronte alla prospettiva di una guerra, decisamente più "interventista" rispetto ad altre situazioni, così come la velocità del dispiegamento militare e l'immediato accordo raggiunto coi ribelli dell'Alleanza del Nord lasciano supporre che gli U.S.A. avessero pianificato l'invasione dell'Afghanistan ben prima dell'11 settembre. È pur vero che nessun nemico degli Stati Uniti era mai riuscito a portare a termine un attacco aereo di queste proporzioni sul suolo americano dall'attacco a Pearl Harbour, e che l'opinione pubblica americana, colpita simbolicamente con un attacco nel cuore della sua Civiltà, chiedeva soddisfazione. Il 18 settembre 2001 Niaz Naik ex-Ministro degli Esteri pakistano dichiarò che a metà luglio dello stesso anno venne informato da alcuni ufficiali superiori statunitensi che un'azione militare contro l'Afghanistan sarebbe iniziata nell'ottobre seguente. Naik dichiarò anche che, sulla base di quanto detto dagli ufficiali, gli Stati Uniti non avrebbero rinunciato al loro piano persino nell'eventualità di una resa di bin Laden da parte dei Talebani. Naik affermò anche che sia l'Uzbekistan sia la Russia avrebbero partecipato all'attacco, anche se in seguito ciò non si è verificato.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non autorizzò in nessuna risoluzione successiva all'11 settembrel'uso della forza contro l'Afghanistan nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom, mentre il 20 dicembre 2001 istituì la missione ISAF.

Il conflitto 2001
Fallite le trattative tra governo statunitense e talebani, domenica 7 ottobre 2001 alle ore 20.45 circa dell'Afghanistan (le ore 16.15 circa italiane), le forze armate statunitensi e britanniche iniziarono un bombardamento aereo sull'Afghanistan, con l'obiettivo di colpire le forze talebane e di al-Qāʿida[39]. Attacchi vennero registrati nella capitale, Kabul, dove i rifornimenti di elettricità furono interrotti, a Qandahar, dove risiedeva il leader talebano, il Mullah ʿOmar, e nei campi d'addestramento della città di Jalalabad.

A 45 minuti circa dall'inizio dei bombardamenti, George W. Bush e Tony Blair confermarono ai loro rispettivi paesi che era in corso un attacco aereo contro l'Afghanistan, ma che i bersagli delle bombe erano esclusivamente militari, e che nel frattempo venivano lanciati anche cibo, medicine e rifornimenti alla popolazione afghana.

All'incirca nello stesso momento, la CNN trasmise in esclusiva le immagini dei bombardamenti di Kabul in tutto il mondo. Non si conosce ancora quale fu l'esercito che attaccò l'aeroporto cittadino, anche se all'epoca si parlò di elicotteri dell'Alleanza del Nord.

Molte diverse tecnologie furono utilizzate nell'attacco. Il generale dell'aviazione statunitense Richard Myers, capo del Joint Chiefs of Staff, dichiarò che nella prima ondata di bombardamenti furono lanciati circa 50 missili cruise di tipo Tomahawk da parte di sottomarini e bombardieri, tra cui alcuni B-1 Lancer, B-2 Spirit, B-52 Stratofortress e F-16 Fighting Falcon. Due trasporti aerei C-17 Globemaster lanciarono 37.500 razioni giornaliere alla popolazione afghana il primo giorno di guerra. I velivoli operavano ad altitudini elevate, al di fuori della portata di tiro della contraerea talebana.

Poco prima dell'attacco il canale satellitare d'informazione in lingua araba Al Jazeera ricevette un messaggio video pre-registrato di Osama bin Laden. In questo, il leader di al-Qāʿida condannava qualsiasi attacco contro l'Afghanistan, affermando che gli Stati Uniti avrebbero fallito in Afghanistan e poi sarebbero crollati, proprio come l'Unione Sovietica. Bin Laden lanciò dunque un jihad contro gli Stati Uniti.

Campagna aerea
Prima dell'inizio degli attacchi aerei, i media ipotizzarono che i Talebani avrebbero potuto usare dei missili antiaerei Stinger di fabbricazione statunitense, residuato bellico dell'invasione sovietica degli anni ottanta[senza fonte]. I Talebani erano sguarniti dal punto di vista della contraerea, essendo solo in possesso di alcuni materiali della precedente guerra abbandonati dalle truppe sovietiche [senza fonte]. Pertanto gli elicotteri Apache e diversi altri velivoli poterono operare senza grandi pericoli .

Nel corso dei bombardamenti, nessun aereo statunitense è stato abbattuto dal fuoco nemico . In pochi giorni gran parte dei campi d'addestramento erano stati danneggiati gravemente e l'antiaerea talebana era stata distrutta. Anche la popolazione civile venne gravemente colpita con l'incedere del conflitto.

Successivamente, gli attacchi furono concentrati su obiettivi di comando, controllo e comunicazione per indebolire le possibilità di comunicazione dei Talebani. Nonostante ciò, a due settimane dall'inizio della guerra i Talebani resistevano ancora sul fronte in cui combatteva l'Alleanza del nord. L'Alleanza dunque chiese rinforzi aerei sul loro fronte. Nel frattempo migliaia di miliziani Pashtun arrivarono dal Pakistan come rinforzo ai Talebani.

La terza fase dei bombardamenti venne condotta con degli F/A-18 Hornet ed ebbe come obiettivo i trasporti talebani in attacchi specifici mentre altri aerei statunitensi lanciarono bombe cluster sulla difesa talebana. I talebani rimasero duramente colpiti dai continui attacchi statunitensi, mentre l'Alleanza del nord iniziò ad ottenere importanti risultati dopo anni di conflitto. Aerei statunitensi arrivarono persino a bombardare una zona nel cuore di Qandahar controllata dal Mullah ʿOmar. Ma, nonostante tutto, fino agli inizi di novembre la guerra proseguiva a rilento.

Iniziò dunque la quarta fase d'attacco e sul fronte talebano vennero lanciate quasi 7000 tonnellate di bombe BLU-82 da cannoniere AC-130. Gli attacchi furono di notevole successo. La scarsa preparazione talebana di fronte ad una guerra combattuta principalmente tramite i bombardamenti esaltò gli esiti di questi ultimi, soprattutto sul piano del morale. I combattenti non avevano precedenti esperienze con la potenza di fuoco americana, e spesso stavano addirittura in cima a nude catene montuose dove le Forze Speciali potevano facilmente individuarli e chiamare supporto aereo.

Le milizie talebane vennero decimate, e combattenti stranieri presero il controllo della sicurezza delle città afghane. Intanto, l'Alleanza del Nord, con la collaborazione di membri paramilitari della C.I.A. e delle Forze Speciali, iniziò la sua parte dell'offensiva: conquistare Mazar-i Sharif, tagliare le linee di rifornimento talebane provenienti dal nord, e infine avanzare verso Kabul.

Avanzata di terra: Mazar-i-Sharif
Il 9 novembre iniziò la battaglia di Mazar-i-Sharif. Gli USA bombardarono a tappeto la difesa talebana, concentrata nella gorgia di Chesmay-e-Safa, attraverso la quale si entra nella città. Alle ore 14, l'Alleanza del nord avanzò da sud e da ovest, occupando la base militare principale della città e l'aeroporto, costringendo dunque i talebani alla ritirata verso la città. Nel giro di quattro ore la battaglia era conclusa. I talebani si ritirarono verso sud ed est e Mazar-i Sharif venne presa.

Il giorno dopo la città venne data al saccheggio. Miliziani dell'Alleanza del nord che perlustravano la città in cerca di bottino, fucilarono seduta stante numerose persone sospettate di avere simpatie talebane. Venne inoltre scoperto, all'interno di una scuola, un rifugio di circa 520 talebani provati dai combattimenti, per lo più provenienti dal Pakistan. Anch'essi vennero giustiziati.

Sempre lo stesso giorno, l'Alleanza avanzò rapidamente verso Nord. La caduta di Mazar-i Sharif aveva portato alla resa di diverse posizioni talebane. Molti comandanti decisero di cambiare fazione piuttosto che combattere. Molte delle loro truppe di prima linea erano state aggirate e circondate nella città settentrionale di Kunduz dato che l'Alleanza del nord li aveva superati andando a sud. Anche nel sud la loro tenuta pareva compromessa. La polizia religiosa interruppe i propri regolari pattugliamenti. Sembrava che il regime sarebbe collassato nel giro di poco tempo.

La caduta di Kabul
Nella notte del 12 novembre le forze talebane, col favore dell'oscurità, abbandonarono Kabul. L'esercito dell'Alleanza giunse presso la città nel pomeriggio successivo, trovando una resistenza di circa una ventina di soldati nascosti nel parco cittadino. Ora anche Kabul era in mano alleata.

Nel giro di 24 ore dalla caduta di Kabul, vennero prese anche tutte le province lungo il confine iraniano, tra cui anche la città di Herat. I comandanti pashtun locali e i signori della guerra controllavano ormai il nord-ovest del paese, inclusa Jalalabad. Quel che restava dell'esercito talebano e dei volontari pakistani si ritirò a nord, verso Konduz, e a sud-est, verso Qandahar, per preparare la difesa ad oltranza.

Circa 2000 membri di al-Qāʿida e dei talebani, tra cui forse anche lo stesso bin Laden, si raggrupparono nelle caverne delle montagne di Tora Bora, 50 chilometri a sud-ovest di Jalalabad. Il 16 novembre l'aviazione statunitense iniziò a bombardare la zona, mentre la C.I.A. e le forze speciali reclutarono alcuni signori della guerra locali che avrebbero partecipato a un imminente attacco alle caverne.

La caduta di Konduz
Sempre il 16 novembre iniziò l'assedio di Konduz, che proseguì con nove giorni di combattimenti terrestri e aerei. I talebani all'interno della città si arresero tra il 25 e il 26 novembre. Poco prima della resa, degli aerei pakistani evacuarono un centinaio di soldati e membri dell'intelligence che erano accorsi in aiuto del regime talebano contro l'Alleanza del nord prima dell'invasione statunitense.

Si crede che almeno 5.000 persone in totale siano state fatte evacuare dalla regione, tra cui anche truppe di al-Qāʿida e dei talebani alleate ai pakistani in Afghanistan.

La rivolta di Qala-i-Jangi
Il 25 novembre, mentre alcuni prigionieri della battaglia di Konduz venivano condotti alla fortezza medievale di Qala-i-Jangi, nei pressi di Mazar-i Sharif, i talebani attaccarono le guardie dell'Alleanza del nord. Questo incidente portò a una rivolta di 600 prigionieri, i quali occuparono l'ala sud dell'edificio, in cui era presente un deposito pieno di armi leggere. Un agente della C.I.A., Johnny Micheal Spann, venne ucciso mentre stava interrogando dei prigionieri, diventando la prima vittima americana della guerra.

La rivolta venne sedata dopo sette giorni di combattimenti attraverso gli sforzi di un'unità dell'SBS, alcuni Berretti verdi e miliziani dell'Alleanza del nord. Delle cannoniere AC-130 presero parte all'azione fornendo bombardamenti in diverse occasioni, come anche un raid aereo. I sopravvissuti talebani furono meno di 100, mentre 50 soldati dell'Alleanza del nord vennero uccisi. La rivolta segnò la fine dei combattimenti nell'Afghanistan settentrionale, zona ormai sotto il controllo dei signori della guerra dell'Alleanza.

La presa di Kandahar
Verso la fine di novembre Kandahar, luogo di origine dei talebani e ultimo avamposto rimasto al movimento, si trovava sotto crescente pressione. Circa 3.000 soldati guidati da Hamid Karzai, uomo di simpatie filo occidentali e leale nei confronti del precedente governo dell'Afghanistan, avanzò verso la città da est, tagliandone i rifornimenti. Nel frattempo, l'Alleanza del nord proseguiva il suo cammino da nord-nordest e circa 1.000 Marines statunitensi, giunti attraverso elicotteri CH-53E Super Stallion, stabilirono un campo base a sud di Qandahar.

Il 26 novembre si verificò il primo importante scontro a fuoco nella zona, quando 15 veicoli armati si avvicinarono alla base statunitense, ma vennero distrutti da degli elicotteri. Intanto, gli attacchi aerei continuavano a indebolire i talebani all'interno di Qandahar dove il Mullah ʿOmar era nascosto. ʿOmar, il leader talebano, rimase spavaldo nonostante il suo movimento, verso la fine di novembre, controllasse solo 4 delle 30 province afghane, e spronò le proprie forze a combattere fino alla morte.

Poiché i Talebani erano sul punto di perdere la loro roccaforte, l'attenzione statunitense si concentrò su Tora Bora. Milizie tribali del posto, che contavano oltre 2.000 paramilitari sostenuti, pagati e organizzati dalle Forze Speciali e dalla CIA, continuavano ad affluire per un attacco mentre continuavano pesanti bombardamenti di sospette posizioni di al-Qāʿida. Si riferì di 100-200 civili morti quando 25 bombe devastarono un villaggio ai piedi della regione di Tora Bora e delle Montagne Bianche. Il 2 dicembre, un gruppo di 20 commando statunitensi fu portato in elicottero per supportare l'operazione. Il 5 dicembre la milizia afghana prese il controllo del bassopiano sotto la grotte di montagna dai combattenti di al-Qāʿida e allestì le posizioni dei carri per attaccare le forze nemiche. I combattenti di al-Qāʿida si ritirarono con mortai, lanciamissili e fucili da assalto per innalzare posizioni fortificate e prepararsi per la battaglia.

Verso il 6 dicembre, Omar iniziò finalmente a dare segno di essere pronto a lasciare Qandahar alle fazioni tribali. Con le sue truppe distrutte dai pesanti bombardamenti statunitensi e rimanendo sempre sul chi vive dentro Qandahar per evitare di diventare un bersaglio, anche il morale del Mullah Omar crollò. Capendo che non avrebbe potuto tenere Qandahar molto a lungo, iniziò a dar segno di voler negoziare per passare la città ai capi tribali, purché lui e i suoi uomini più importanti ricevessero una qualche protezione. Il governo statunitense rifiutò ogni amnistia per Omar o qualunque leader talebano. Il 7 dicembre, il Mullah Mohammad ʿOmar sgattaiolò fuori dalla città di Qandahar con un gruppo di fedelissimi e si spostò a nord ovest nelle montagne dell'Oruzgan, rinnegando la promessa dei Talebani di consegnare i loro combattenti e le armi. Fu visto per l'ultima volta mentre guidava con un gruppo di combattenti su un convoglio di moto. Altri membri della leadership talebana fuggirono in Pakistan attraverso i remoti passaggi di Paktia e della Paktika. In ogni caso, Qandahar, l'ultima città controllata dai Talebani, era caduta, e la maggior parte dei combattenti talebani era sbandata. La città di confine di Spin Boldak si era arresa lo stesso giorno, segnando la fine del controllo talebano in Afghanistan. Le forze tribali afghane guidate da Gul Agha presero la città di Qandahar, mentre i marines presero il controllo dell'aeroporto fuori città e impiantarono una base statunitense.

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